sabato 22 ottobre 2016

L'eterno primo giorno


L'eterno primo giorno dona loro, o Signore... pare una minaccia:
Non so se sia peggio l'eterno primo giorno a lavoro o l'idea dello stesso lavoro per tutta la vita... Poi se il lavoro piace quella è un'altra storia, ma questo campo non l'ho mai frequentato.
Anzi, spesso alla mattina ho quella sensazione di biscotto (tipo macina con olio di palma) incastrato in gola, che non va né su né giù, sensazione detta anche dell' uovo sodo, per chi fosse abbastanza vecchio da ricordarsi il film Ovosodo, per l'appunto. Chi pratica il vivace mondo del precariato sa bene che il famigerato primo giorno è sempre in agguato se si decide di cercare lavoro dopo l'ennesimo contratto scaduto. Uno non fa tempo ad abituarsi all'ufficio o alla fabbrica, ai colleghi, ai capi, alla fotocopiatrice, ai venticinque tasti inutili del telefono, agli orari per fare pausa,
Confucio
ai bar dove ci sono i cornetti migliori, alla macchinetta del caffè che non frega i soldi, agli orari assurdi, alle alzatacce, alle coincidenze con i mezzi, alle buche delle piste ciclabili, alle code interminabili in macchina, ai programmi in radio che passano musica decente; a capire se ci si può slacciare il primo bottone dei jeans, se si può cazzeggiare su internet, se si possono mandare messaggi, se si può tenere il cellulare sulla scrivania o se invece va tenuto nascosto in tasca o in borsa; a intuire con chi si può parlare di cazzate senza sembrare inopportuni, a che ora si può iniziare a spegnere il pc, a cercare di comprendere di che tratta il lavoro per cui si è stati assunti 42 giorni... che finisce tutto. Nella maggior parte dei casi non si perde un granché, anzi, però poi subentra la fastidiosa frustrazione di dover cercare un nuovo lavoro: cresce l'apatia, lo scoraggiamento, l'inquietudine per i colloqui, l'ansia per la telefonata di conferma che non arriva quasi mai.  L'abitudine di andare a lavoro nello stesso posto per molto tempo, o per sempre, per quanto sia assurda l'idea ai tempi nostri e per quanto possa sembrare aberrante può dare una sorta di sicurezza, di effetto anestitizzante contro l'instabilità  e la destabilizzazione a cui questo mondo infame ci ha abituato.
Breve parentesi: com'è che se cerco settore culturale (così, giusto per darmi un'illusione, volendo volare in alto con la fantasia) i risultati proposti sono: animatore per nave da crociera o ragazze per intrattenimento-lap dance?
Mi mancano in effetti sia la nave da crociera che la lap dance; magari mi diverto pure, nonostante la mia avversione per i balli di gruppo.
Ma l'eterno primo giorno si estende anche al primo appuntamento con un ragazzo. Gonna o jeans? Tacchi alti o Stan Smith? Converse o ballerine? E' sensato apparire tranquille o sarà utile apparecchiarsi bene fingendo di tirarsi sempre così anche in casa? Quando sappiamo bene che tra le mura domestiche raggiungiamo rari livelli di bruttume nel vestiario. Lo "stile" lascia il posto al caos cromatico e all'accozzaglia di capi che manco al mio grosso grasso matrimonio gipsy. A volte si rischia di cambiare pure fisicamente, tipo i mutanti. Cambiano quasi i connotati: le palpebre si abbassano, le sopracciglia si rilassano, le labbra si assottigliano, la pancia si gonfia, la schiena si ingobbisce e le chiappe si allargano. Non succede mica tutte, ma la buona parte reagisce male al rientro in casa, perde di rigore.
Altro dubbio esistenziale da primo appuntamento:  farsi venire a prendere sotto casa dal cavaliere o fingere di voler essere indipendenti a discapito della comodità e dell'inerzia? E se questo poi si rivela un pazzo criminale? Uno stalker? Un imbonitore di finti contratti del gas? Un testimome di Geova? Un vegano convinto? Un seguace di Xenu? Uno che va a correre alle sei di domenica mattina?
Messaggio subliminale
E poi scelta del locale. Per la legge del contrappasso: se si hanno i tacchi la propostona sarà il kebabbaro che spaccia qualsiasi cosa si possa fumare in natura, se si è in Converse e t shirt da 9.90 euro il tizio avrà già prenotato al sushi più modaiolo del centro città.
Il vero dramma però è fingere interesse anche quando non si è più in grado più di ascoltare, quando le lenti a contatto ti si seccano per la noia e per il sonno. Ma solo quando arriverà la fatidica domanda: Che musica ascolti... (e l'occhio subirà un'impercettibile contrazione, un minimo scatto nervoso) allora si rimpiangerà il divano e il succo tropical in bric (o la tisana allo zenzero per le salutiste).
Però io sono la solita cinica: il più delle volte sarei già a casa col succo in mano a cercare film decenti in Tv dall'uno al trentaquattro, andata e ritorno.

Barbara

p.s Cliccate qui per il romanzo... se alla sera non passano film carini potete sempre leggere!

Nessun commento:

Posta un commento