Barbara
Raymondi
Le
bugie dei bravi ragazzi
Questo
libro è un'opera di fantasia. Nomi, soprannomi, personaggi, luoghi e
avvenimenti sono frutto dell'immaginazione dell'autrice e vengono
usati in maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza con persone reali,
fatti o luoghi è assolutamente casuale.
Ogni diritto è riservato.
Gli
spietati salgono sul treno
e
non ritornano mai più,
non
sono come noi, innamorati eroi,
noi
due che al binario ci diciamo addio.
Gli
spietati, Baustelle
E'
un mondo difficile, è vita intensa.
Felicità
a momenti e futuro incerto.
Il
fuoco e l'acqua, concerto e calma,
sonata
di vento.
E
nostra piccola vita
e
nostro grande cuore.
Me
cago en el amor, Tonino Carotone
Prima
Parte
1
«Sole?»
«Presente»
la ragazza alzò il braccio svogliatamente, con fare un po' fiacco.
«Ok,
allora iniziamo col briefing se ci siamo tutti».
Mio
Dio il briefing, ma dove siamo all'Onu? Sole si guardò attorno,
testa bassa, sconsolata, agitata, stanca, cercando comunque di
mantenere un certo contegno, di capire l'andazzo di quell'ufficio e
di scoprire la fauna umana con la quale avrebbe lavorato per qualche
giorno o addirittura per qualche settimana.
Si
sentiva stanca già alle cinque di pomeriggio e non perché avesse
lavorato in miniera fino a quell'ora, ma perché esausta di
affrontare l'ennesimo primo giorno lavorativo. Si trattava di
sondaggi telefonici, all'apparenza poteva sembrare quasi una mansione
dignitosa, non troppo invasiva per se stessa o per i campioni
telefonici da contattare.
«Sole?»
«Sì?»
«E'
la tua prima volta qui?» chiese la responsabile dopo aver spiegato a
tutti il loro compito.
«Sì»
«Hai
capito come funziona?»
«Sì,
più o meno credo di aver capito: chiamo qualcuno e gli propongo di
fare il sondaggio»
«Ok,
ci siamo. Ragazzi siate veloci e precisi. Cercate di non scrivere
messaggi e di non parlare tra di voi. Potete andare in bagno, ma
senza esagerare, cerchiamo di evitare le pause sigaretta, le pause
caffè e le pause chiacchiere che tanto state qui solo quattro ore.
Iniziate pure».
Quattro
ore lì dentro sembravano interminabili solo a pensarlo.
La
responsabile era una ragazza più giovane di Sole, dall'aspetto
glaciale, inflessibile e sicuro. Il lavoro consisteva nel fare il
maggior numero di telefonate per riuscire a terminare quanti più
sondaggi possibili. Da un plico di fotocopie prelevate da un elenco
telefonico di qualche città si sarebbe dovuto chiamare in ordine
alfabetico o sparso, a seconda dell'attitudine, dell'istinto o del
metodo lavorativo, quanti più contatti si riusciva.
«Ragazzi,
almeno venti sondaggi a testa stasera» sottolineò la responsabile
«ricordatevi che vi paghiamo all'ora, non a sondaggi, quindi non
approfittatevene di questo. Impegnatevi grazie».
Sole
iniziò la missione quotidiana: digitare un numero da un comune
telefono a tasti, aspettare tre squilli, non ottenere nessuna
risposta e giù la cornetta. Numero, tre squilli, nessuna risposta e
giù la cornetta. Numero, tre squilli, nessuna risposta e giù la
cornetta. Primo sintomo accusato: ansia da prestazione. Nessuno
sembrava volerle rispondere, mentre le altre ragazze chiacchieravano
capaci con sconosciuti accondiscendenti. Tutti i sondaggisti
reclutati guardavano un muro color crema stinto, erano separati tra
loro da pannelli bianchi e sparavano a raffica domande convulse lette
sullo schermo di un computer, sperando di segnare crocette col mouse
nel questionario a risposte multiple. Numero, tre squilli, nessuna
risposta, ma questa volta, mentre Sole stava per sbattere giù la
cornetta, qualcuno rispose con la più classica delle risposte
telefoniche: Pronto?
Dopo
un secondo di incertezza la ragazza partì:
«SìBuonaseraSignoraStiamoFacendoUnSondaggio»
recitò tutto d'un fiato. No grazie, fu la risposta secca e spietata.
Le
reazioni telefoniche alternative che si susseguirono furono: No.
No, chi vi ha dato il mio numero? No, avete finito di rompere le
palle? No, non compro niente. Secondo sintomo: nervoso allo stomaco e
voglia di controbattere con una vasta gamma di parolacce. Quando dopo
almeno venti tentativi qualche anima pia diede il consenso, la
ragazza, già preda della frustrazione più accanita, cercò solo di
essere rapida, chiara e gentile nonostante la ferocia nell'animo e la
lingua che si incespicava.
La
moltitudine delle persone che, mosse a pietà o afflitte da
solitudine centenaria, decideva di dedicare qualche minuto al
sondaggio dopo poche domande però perdeva entusiasmo; l'unica
conseguenza possibile era il temuto saluto d'addio. Una guerra
psicologica insostenibile, un terremoto per il sistema nervoso.
«Ehi»
le sussurrò qualcuno «Puoi imbrogliare»
«Cosa?»
«Sì,
non è che ci arrestano»
«Imbrogliare?»
«Metti
tu le risposte anche se non ti rispondono a tutte le domande, finisci
tu il questionario»
«Ma
se ci vedono? Se