2 novembre
Un corvo nero se ne stava sul tetto e pareva che, quando la donna scostava la tenda ricamata con foglie d'edera per controllarlo, quell'uccellaccio la fissasse.
"Vattene via, sciò!" urlava dal balcone la ricamatrice, battendo le mani verso il corvo per spaventarlo. Qualche volta se ne volava via, ma sicuro come la nebbia a novembre che quell'uccellaccio sarebbe tornato. Era dalle prime luci dell'alba che la donna si sentiva puntati addosso quegli occhi neri e lucidi come spilli.
Si mise lo scialle addosso, prese la borsa con i centrini di colore bianco o avorio e si incamminò verso la piazza del paese. Era di nuovo giorno di mercato, freddo e persone sgradevoli non sarebbero mancate, come al solito.
Sferruzzava tutta notte, tutte le notti fin da quando era più giovane. Non riuscendo a dormire ricamare centrini con l'uncinetto era l'unico sollievo che le concedeva un po' di tregua dall'infinito buio della notte. Le dita, ormai deformate, andavano da sé, creavano disegni e ricami, anche su commissione:
scene di caprioli davanti a laghetti montani, mazzi di fiori, volti, tazzine da tè, da caffè, trionfi di frutta, scene di matrimoni, di battesimi e funerali.
Cadeva come in una sorta di imbambolamento dove non smetteva mai di ricamare. Una sorta -di trance- aveva cercato di spiegarle una volta il dottore dei matti e dei delinquenti, come lo aveva definito lei, proponendole pillole e sonniferi per aiutarla.
Ma solo sferruzzare le portava una qualche sorta di serenità, come se si rifugiasse in una bolla dove non esisteva più il freddo alle ossa e il dolore alle mani.
Iniziò a sistemare i centrini sulla bancarella, alcuni su commissione, altri con i classici ricami di fiori e di frutta.
Non li aveva ancora controllati.
Appese alcuni suoi lavori, altri li ordinò sul banco. Sembrava tutto apposto. Un centrino però catturò la sua attenzione: una donna seduta su una poltrona. Che diavoleria era? Come le era uscito?
Lo cacciò in fondo alla borsa. Non ci diede peso, l'insonnia spesso le faceva brutti scherzi.
Non dormiva una notte intera dall'età di ventuno anni, da quando per caso trovò quei suoi uncinetti mischiati alla terra scura di una tomba abbandonata nel cimitero della chiesa del paese.
Li raccolse, come si coglie un fiore, e sentì, quasi come con una fitta al cuore, che le appartenevano.
Una ragazza si avvicinò alla bancarella della ricamatrice, aveva l'aria stanca, affranta, era pallida, con la pelle sottile che pareva tagliarsi col vento, ma gli occhi le ardevano come due tizzoni. Rabbia e malinconia si mescolavano nelle parole.
"Il centrino è maledetto, guarda qua" disse gettandolo sopra agli altri.
"Che intendi dire? Che dici?"
"Avevi ricamato me e il mio sposo stretti per mano, guarda qua, si è sfilacciato: non ci teniamo più per mano. E lui se n'è andato la scorsa mattina"
"Non è colpa del centrino se tuo marito ti ha lasciato, lo sanno tutti in paese che tipo è. E tu che te lo sei pure sposato... Non sei stata capace di tenertelo " la liquidò.
"Lei è una donna cattiva, è colpa del suo centrino maledetto. Il cane della signora all'angolo è morto poco dopo che lo ha ricamato, investito dal camioncino della posta. E nel centrino i punti si sono allentati. E l'albero delle nespole? Secco! Come il fiume del Monte Rame, dopo che li ha ricamati!"
"Coincidenze! E' il mondo che va in malora, non sono i miei centrini"
"Faccia una prova e poi vedremo"
"Ricamo te stanotte" la minacciò puntandole l'uncinetto.
La giovane donna, con gli occhi lucidi e pieni di livore, si strinse nel cappotto di lana e fuggì a casa. "Maledetta ricamatrice, sei solo una donna maledetta!"
La ricamatrice afferrò il centrino degli sposini, lo tagliò a metà e lo gettò per terra tra le foglie umide.
Che sciocchezze erano quelle. Il mondo non è un Luna Park, non è una gita al lago, e se anche lo fosse quel giorno pioverebbe, mormorò tra sé. E io ricamo solo quello che mi chiedono.
"Che hai oggi da brontolare?" le chiese una vicina di bancarella.
"Niente, solo le solite scocciature"
"Lo vuoi un po' di tè caldo? Così ti scaldi un po'"
Avrebbe detto di sì, si sentiva talmente stanca e infreddolita da così tanti anni, invece le uscì solo: No, non mi va, ho il mio thermos.
Non era vero.
Quelle voci, le voci dei centrini maledetti giravano da un po' di anni, ma erano così belli, unici e ben fatti, che le persone non ci credevano davvero. Superstizioni, pensavano, forse.
I matrimoni si sfasciavano, le persone se ne andavano, non erano eterne, come non lo erano gli alberi, le bestie e tutte le altre creature di questo mondo. E nessun morto ricamato era mai tornato dall'altro mondo.
Alle quattro del pomeriggio era già quasi buio, ma per fortuna quel giorno al mercato si era concluso.
"Come sono andati gli affari?"chiese la vicina di bancarella.
"Come al solito, ho venduto ricami di frutta e di fiori e uno su commissione, un funerale. Buon due Novembre. Buonanotte"
La ricamatrice scostò la tenda ricamata con foglie d'edera e il corvo, proprio in quell'istante atterrò sul tetto davanti. Gracchiò tre volte, verso di lei.
Aprì la borsa dove teneva i suoi centrini e cercò il ricamo con la donna sulla poltrona. Un bel lavoro, non c'è che dire, mormorò tra sé, stendendo il centrino sul tavolo di mogano.
Cenò in cucina con una zuppa di cavolo nero poco sapida, lesse le notizie del paese senza esserne coinvolta e finalmente andò a sedere sulla poltrona a ricamare; e forse a trovare un po' di pace.
Era stanca e infreddolita da troppo tempo, lo scialle di lana non la scaldava più, il tepore del fuoco del camino non la confortava da anni. Le pantofole di feltro cucite da lei rimanevano gelate all'interno. Quando sentì degli scricchiolii provenire dal parquet non si scompose, quella vecchia casa ereditata dai nonni tutte le notti si faceva sentire, quasi le faceva compagnia.
Quando sentì il calore del sangue scendergli lungo il collo provò quasi sollievo, quella sensazione di calore dimenticata per un attimo, che le parve eterno, la consolò.
Una lacrima le rigò il volto increspato, ma non era tristezza quella che provava.
La ricamatrice rimase seduta sulla poltrona di velluto consumato, con l'uncinetto stretto tra le dita, il centrino che si macchiava di rosso e una forbice piantata sul collo.
Avrebbe riposato finalmente e forse trovato pace.